
L’acero del giardino del gigante
Questa storia, rielaborata sulla falsa riga del “Gigante egoista”, è stata raccontata a Bocconi nell’agosto 2019 in occasione dell’evento: “Storie di alberi”.
Erano aceri anche gli alberi appena tagliati sulla strada del fiume, taglio ingiustificato per la maggior parte degli abitanti del Paese che hanno espresso il loro disappunto con una serie di racconti e poesie.
C’era una volta un paese, uguale a tanti altri, ma vicino a quel paese c’era il castello di un gigante che era circondato da un bellissimo giardino, molto vasto, con distese di morbida erba verde, punteggiata di fiori di tutti i colori, belli come le stelle del firmamento.
Nel giardino c’erano molti alberi, alberi da frutto: meli, peri, peschi, susini, ciliegi, cachi che ogni anno si riempivano di fiori a primavera e durante l’estate o l’autunno donavano i loro frutti ricchi e deliziosi.
Tutti gli abitanti della zona conoscevano e ammiravano quel giardino, ma nessuno, proprio nessuno osava entrarvi per paura del gigante, su di lui si raccontavano storie terribili.
Ma i bambini, quando tornavano da scuola, passando vicino al giardino, sbirciavano all’interno, con la voglia di entrarvi a giocare e sbircia oggi e sbircia domani, un giorno, non vedendo nessun gigante nei paraggi vi entrarono per davvero.
Prima timidamente, con circospezione, poi, visto che non succedeva nulla presero coraggio e si misero a girare in lungo e in largo per quel giardino meraviglioso.
Corsero sui prati, raccolsero fiori e ne fecero ghirlande, si divertirono a fare capriole e salti, ma il momento più emozionante fu quando scoprirono un grandissimo albero al centro di una radura.
Si trattava di un acero che aveva allargato suoi rami molto ampi all’intorno e si era allungato verso l’alto che quasi non se ne vedeva la cima. I suoi rami partivano dal basso, quasi da terra, come un invito ad arrampicavisi.
I bambini non ci pensarono due volte e veloci come tanti scoiattoli si misero ad arrampicarsi sui suoi rami, cantando allegramente:
“Quatti quatti nel giardino,
Tutti noi ci intrufoliamo,
E sull’acero più alto,
Svelti svelti noi saliamo.”
I più piccini si fermarono sui rami bassi, mentre i più grandicelli si avventurarono sui rami più alti, ogni bambino trovava il suo posto e quella era la sua casa.
Così si inventarono giochi fantastici sempre nuovi, ma il gioco più divertente era lasciar cadere dall’alto i frutti dell’albero detti semi alati che proprio per effetto delle loro piccole ali vorticavano nell’aria rallentando la caduta come tanti piccoli elicotteri.
Per la verità all’epoca in cui si svolge la nostra storia gli elicotteri non erano ancora stati inventati, ma i bambini osservavano affascinati la discesa a spirale del gioco appena scoperto e facendo a gara a chi sarebbe atterrato per ultimo, tutto questo durò a lungo.
Ma un brutto giorno il gigante fece ritorno a casa, era stato a far visita al suo amico l’orco di Cornovaglia e si era fermato da lui per sette anni, ma poi, avendo finito tutto quello che aveva da dirgli era tornato al suo castello in sette balzi con gli stivali delle sette leghe.
Appena entrato nel giardino, si accorse che c’era qualcosa di strano, il suo naso sentiva, sentiva….”Ucci ucci sento odor di cristianucci! Ucci ucci, sento odor di cristianucci!” E avvicinandosi al grande albero soffiò con quanto fiato aveva in corpo, facendo volar via tutte le foglie.
I bambini, sentendosi scoperti si lasciarono scivolare giù dall’albero e si allontanarono il più velocemente possibile, cantando sconsolati:
“Da lontano giunge il passo
del gigante grosso e grasso
Presto presto tutti giù
Dai scappiamo lesti orsù!”
Il gigante provò ad acciuffare qualche bambino, ma dato che gli sgattaiolavano da tutte le parti, persino in mezzo alle. gambe, non riuscì a prenderne neppure uno e pieno di rabbia si mise a costruire un muro tutto intorno al giardino, lo fece molto alto e molto spesso e sopra al muro mise pezzi si vetro e filo spinato per essere sicuro che nessuno provasse a scavalcarlo, inoltre mise molti cartelli lungo tutto il muro con scritte minatorie: “E’ severamente vietato entrare in questo giardino! Proprietà privata! I trasgressori saranno severamente puniti secondo la legge, articolo….comma…”
Ebbe inizio un brutto periodo: i bambini non sapevano più dove andare a giocare, così presero l’abitudine di girare lungo il perimetro di quel grande muro in cerca di una fessura, uno spiraglio da dove poter sbirciare dentro al giardino dei loro sogni, cantando la loro canzoncina, tanto per consolarsi, ma con scarsa convinzione:
“Quatti quatti nel giardino,
Tutti noi ci intrufoliamo,
E sull’acero più alto,
Svelti svelti noi saliamo.
Da lontano giunge il passo
Del gigante grosso e grasso
Presto presto tutti giù
Dai scappiamo, lesti orsù.”
Poi venne l’inverno e rimasero chiusi in casa , ad ascoltare le storie delle nonne vicino al camino e come sempre, dopo l’inverno, tornò la primavera con i boccioli sugli alberi e gli uccellini a cantare sui rami. Venne dappertutto, tranne che nel giardino del gigante, lì rimase l’inverno. In quel giardino non c’erano uccelli che cantavano, non vi erano bambini che giocavano e gli alberi si dimenticarono di fiorire.
Gli unici ad essere contenti di questa situazione erano la neve e il gelo: “La primavera ha dimenticato questo giardino, e così noi resteremo qui, in pace per l’intero anno.”
La neve coprì i prati col suo grande manto bianco e il gelo dipinse d’argento tutti gli alberi coi loro rami spogli. Anche al grande acero toccò questa triste sorte.
Poi Neve e Gelo invitarono il vento del nord a stare lì con loro e lui accettò. Venne con una lunga pelliccia bianca e si mise ad ululare tutto il giorno qua e la per il giardino e quando si faceva più forte tirava giù i comignoli e le tegole dal tetto.
“Questo è un ottimo posto, diceva, bisogna chiedere alla grandine di farci visita.” Venne anche la grandine. Tutti i giorni per alcune ore, tamburellava sul tetto del castello rompendo tutte le tegole che non aveva fatto cadere il vento del nord, poi correva intorno al giardino più forte che poteva. Era vestita di grigio e il suo respiro era di ghiaccio.
“Io non capisco perché la primavera stia tardando tanto ad arrivare!” diceva il gigante guardando fuori dalla finestra.
Ma la primavera non arrivò mai e nemmeno l’estate. L’autunno portò frutti dorati in ogni giardino, ma non nel giardino del gigante. Là era sempre inverno e il vento del nord, la grandine, il gelo e la neve ballavano tra gli alberi.
Passarono così sette lunghissimi anni, finché un giorno il gigante sentì una melodia:
“Quatti quatti nel giardino,
Tutti noi ci intrufoliamo,
E sull’acero più alto,
Svelti svelti noi saliamo.
Da lontano giunge il passo
Del gigante grosso e grasso
Presto presto tutti giù
Dai scappiamo, lesti orsù.”
Era tanto di quel tempo che il gigante non sentiva nulla di simile, che gli parve bellissima e si accorse che la grandine aveva smesso di danzare e il vento del nord di ululare e un delizioso profumo arrivava alle sue narici.
Dev’essere arrivata la primavera, pensò il gigante e guidato da quella melodia scese in giardino e cosa vide?
Da un buco nel muro erano scivolati dentro i bambini e stavano tutti seduti sui rami dell’acero, su ogni ramo c’era almeno un bambino e l’acero, per la gioia, si era ricoperto di piccole gemme.
I bimbi cantavano gioiosi la loro canzoncina e i fiori cominciavano ad occhieggiare sui prati tornati verdi. Era una scena bellissima, e al vederla il gigante iniziò a sentire uno strano pizzicottino nel naso “ Eeeetttcccciiiiiiiiiùùùù!” Fece un grosso starnuto, segno evidente che il suo cuore si stava intenerendo. Poi vide che c’era un bambino che era rimasto in piedi vicino all’albero, era così piccolo che non arrivava neppure ai rami più bassi. Il gigante, vedendolo sentì di nuovo quello strano pizzicorino nel naso “Eeeetttciiiiiiùùùùù!” starnutì per la seconda volta e quando vide che il bambino stava piangendo disperatamente “Eeeetttccciiiiiiiùùùù!” starnutì per la terza volta a questo punto era certo che il suo cuore si era completamente sciolto e tutta la sua cattiveria e il suo egoismo se ne erano andati per sempre. Abbassò una delle sue grandi mani, vi fece salire il ragazzino come in una carrozza e con estrema delicatezza lo depositò su uno dei rami dell’acero.
Da quel giorno tutto cambiò, il gigante con una grossa scure, abbatté il muro che aveva costruito anni prima, distrusse tutti i cartelli e ne fece un bel falò, poi dichiarò:
“Da oggi in poi questo giardino è di tutti, i bambini vi potranno giocare quando vogliono e gli adulti potranno venire a passeggiare ed a raccogliere i frutti dagli alberi, ma attenzione, dovrete trattarlo con rispetto e prendervene cura.”
E così fu, ma i bambini non smisero mai di cantare la loro canzoncina:
“Quatti quatti nel giardino,
Tutti noi ci intrufoliamo,
E sull’acero più alto,
Svelti svelti noi saliamo.
Da lontano giunge il passo
Del gigante grosso e grasso
Ma paura più non fa,
Trallala la la la la.”